La normale variabilità intraspecifica

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DanieleU
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La normale variabilità intraspecifica

Messaggio da DanieleU »

Prendo a prestito alcune parole contenute nel messaggio di Griburius (topic su A. Muscaria , aperto da Mario). Egli scrive:
Griburius ha scritto: Le differenze morfologiche non sono dunque il "motivo" sul quale lo specialista deve proporre la separazione in specie distinte, ma semplicemente la chiave di lettura mediante il quale egli inferisce l'isolamento riproduttivo. Dunque: morfologia come indicatore di un processo biologico (isolamento riproduttivo) e non come motivo in sé per la separazione. Qui sta la differenza tra il concetto di morfospecie (una chiave di lettura) e quello di specie biologica (effetto di un processo evolutivo e, in quanto tale, entità "reale" e non semplice astrazione, come alcuni devoti della definizione nominalistica di specie a volte ancora oggi sostengono). Per questa ragione, nel proporre una nuova specie, un naturalista dovrebbe sempre chiarire i motivi per cui le differenze che descrive indicano a suo avviso un isolamento riproduttivo e non rientrano nella normale variabilità intraspecifica.
Griburius introduce, tra gli altri, due concetti: quello dell'inferenza e quello dello studio delle variazioni intraspecifiche quali condizioni necessarie e sufficienti per andare oltre le differenze morfologiche e proporre la separazione in specie distinte.
Il termine "inferenza" mi è famigliare: è alla base del lavoro dello statistico.
Mi è capitato varie volte di sottolineare come lo studio di un basidioma non sia importante "in sè" e non si concluda con la semplice determinazione ( appartiene/non appartiene a....) ma è il passaggio logico/funzionale per studiare la specie.
Dunque, studiando un fungo, implicitamente si deve compiere una generalizzazione.
Questo può avvenire solo con lo studio macroscopico e microscopico dei caratteri e nel confronto col typus di riferimento.
Il lavoro di inferenza è complesso , perchè presuppone che lo studio delle variazioni intraspecifiche diventi il pane quotidiano del micologo ( come di ogni altro studioso di scienze naturali)
Da un punto di vista metodologico significa avere cura di valutare le mutabili qualitative e le variabili quantitative proprie dell'individuo, per potere generalizzare le conclusioni.
Questo si traduce essenzialmente nell'uso dei metodi statistici.
Una osservazione, persino banale, riguarda il fatto che variazioni grandi non hanno bisogno di studi particolari: anche un cieco le vede. Ma quando le variazioni sono minime l'occhio, anche quello esperto, non è piu' in grado di valutarle; per cui è necessario ricorrere a sistemi di calcolo basati sui metodi statistici.

Supponiamo di volere studiare la variabilità nella misura delle spore di due individui della stessa specie ( per esempio tre basidiomi cad. di due miceli diversi di Hebeloma sinapizans).
Dai risultati apprendiamo che le misure delle lunghezze e larghezze sporali dei basidiomi dei due miceli siano le seguenti:
micelio a : lunghezza = 10.50; sd= 0.733 § larghezza= 6.35 ; sd=0.496; n=200
micelio b: lunghezza = 10.66 ; sd= 0.9125 § larghezza= 6.59; sd= 0.5072018; n=150

Ad "occhio" cosa cogliamo di queste differenze? Direi nulla.
Davanti ad un risultato di questa natura, moltissimi micologi saranno indotti a concludere: " non c'è alcuna differenza".
In fondo pochi decimi di micron sono un'inezia e non vale nemmeno la pena di perdere tempo a indugiarci sopra.
Ma le cose stanno davvero così?
Proviamo a vedere:
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> a<-c(sinapizans$lunghezza)
> b<-c(sinapizans1$lunghezza)
> t.test(a,b)

Welch Two Sample t-test

data: a and b
t = -1.8175, df = 279.161, p-value = 0.07021
alternative hypothesis: true difference in means is not equal to 0
95 percent confidence interval:
-0.34370695 0.01370695
sample estimates:
mean of x mean of y
10.4996 10.6646

> d<-c(sinapizans$larghezza)
> e<-c(sinapizans1$larghezza)
> t.test(d,e)

Welch Two Sample t-test

data: d and e
t = -4.4576, df = 317.339, p-value = 1.151e-05
alternative hypothesis: true difference in means is not equal to 0
95 percent confidence interval:
-0.3487889 -0.1351778
sample estimates:
mean of x mean of y
6.354550 6.596533
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Toh, guarda: la differenza tra le due medie delle larghezze dei due miceli sono altamente significative con p< 0.00000115
Eppure c'è la differenza di solo 0,24 µm !
Tutto è relativo. Se questa differenza ci fosse stata in due campioni piccoli ( diciamo n=30) allora sarebbe stata probabilmente trascurabile; ma con due campioni di numerosità n=200 e n=150 osservazioni, le differenze diventano "pesanti" anche se piccolissime.
Infatti la differenza dipende SEMPRE da piu' fattori:
- la differenza tra le medie
- la variabilità dei campioni
- la potenza del test ( beta)
- la significatività del test ( alfa)
- la direzione dell'ipotesi ( unilaterale, bilaterale)
- dalla numerosità dei campioni
Dunque a quale conclusione bisogna giungere, davanti a questa evidenza?
Intanto bisogna prendere atto che la differenza esiste ed è significativa; poi bisogna cercare di comprendere da cosa dipenda.
Può dipendere da ragioni fenetiche? ( diversa textura del terreno, maggiore/minore microfauna nel suolo, vegetazione, altitudine, esposizione geografica.....)
Di sicuro, e ce lo dice la statistica, la probabilità che le differenze siano dovute al caso sono bassissime per non dire nulle.
Ora davanti a questi dati possiamo fare "spallucce" ignorandoli o farci prendere dalla curiosità e iniziare a indagare anche gli altri caratteri.
Una visione d'insieme, macroscopica e microscopica , corredata da uno studio metodico delle rispettive variazioni qualitative e quantitative può assisterci nella formulazione di un'ipotesi di lavoro.
Senza uno studio di questo genere possiamo incappare in due errori: non vedere le differenze quando ci sono; vedere differenze dove non esistono.

A questo dobbiamo aggiungere una valutazione, sulla quale sono sicuro che Griburius converrà: la natura opera nel continuo, non nel discreto e nella sua instancabile opera di "copiatura" del DNA nei passaggi generazionali compie degli errori ( poco probabili ma li compie; altrimenti non ci sarebbe stata evoluzione). Questi errori, per delezione, sostituzione o addizione, possono essere neutri, vantaggiosi, svantaggiosi.
Indagare la sottile linea di confine tra ciò che sta "di qua" perciò entro un certo taxon e ciò che sta "di la", perciò in un taxon diverso, rientra nel lavoro paziente del ricercatore. Il quale, appunto, partendo dalle stime campionarie, fa inferenze sulle popolazioni.
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